Impegnato. Come ogni mercoledì, nella sua solita routine fatta di riunioni, chiamate, appunti sparsi e pieni di appuntamenti.

Quel mercoledì Marco proprio non se l’aspettava.

Non se l’aspettava di poter staccare finalmente la spina, di trovare in poche ore il sapore perduto della genuinità, del dialogo senza scopo, della serenità dell’anima. Marco quel mercoledì aveva iniziato la sua giornata in modo regolare. Sveglia alle sette, doccia, giacca e cravatta d’ordinanza, arrivo alle otto al lavoro, il tempo di un caffè regolarmente poggiato sul suo tavolo dalla formale iniziativa di una segretaria ormai impegnata da anni in gesti meccanici e ripetitivi.

Marco con quella segretaria non aveva mai legato: in là con l’età, incattivita da anni di funzioni standardizzate e imposta ai dipendenti da un’azienda incapace di rinnovarsi. Quel caffè a Marco iniziava a non piacere più, tanto da lasciarlo ormai il più delle volte raffreddare lì in un angoletto, come corpo estraneo, come altro da sé.

Per la verità, un po’ di freddura Marco l’aveva ormai alimentata dentro di sé. Diffidente verso qualsiasi rapporto umano, cinico e spietato nel suo lavoro, afflitto dalla psicosi dell’obiettivo, impaurito dagli insuccessi. Faceva bene il suo lavoro per allontanare semplicemente la prospettiva di un fallimento. Sorrideva ai clienti senza crederci per davvero, scriveva e appuntava il proliferare delle sue plusvalenze finanziarie.

Alle dieci, all’improvviso, una chiamata.

“Pronto”, rispose consapevole dell’imminente invito a pranzo nel ristorante più in del centro di Milano.

“Non si fa più niente, è già saltato di suo. Esci, viene il tecnico a controllare i computer. Approfittiamo oggi”

La frase echeggiò nella testa di Marco come una liberazione. La controparte di quell’affare così impervio aveva annullato l’appuntamento, rinunciando all’odioso braccio di ferro. In più in azienda un’insperata attività di manutenzione si era infilata nell’inedito spiraglio di tempo.

Marco era insomma libero. Libero come non lo era da tempo. Libero per una giornata intera. Marco uscì tramortito da quella corta giornata di lavoro quando ancora il sole splendeva sul cielo di Milano. Prese il cellulare per verificare l’andamento dei mercati internazionali, quando all’improvviso un alito di vento gli spinse addosso un foglio di carta stropicciato. Lo raccolse, lo aprì.

Di fronte a lui qualcosa di assai simile ai suoi appunti pieni di orari e cose da fare, a metà una scritta inglese, sottolineata per le 13 e contornata da cuoricini:

“SoLunch”

“SoLunch?”, si chiese fra sé e sé Marco. Impugnò il cellulare e ricercò quel curioso accostamento di parole, si imbatté in un sito a lui sconosciuto. Lo colpì in particolare quella pasta al forno di cui un tempo era goloso ma che, nei menù dei tanti ristoranti incontrati nelle sue giornate, non aveva mai più trovato, mai più come prima, non così. Incuriosito dallo strano “incontro” prenotò.

Poco dopo le 12 salì al quarto piano di un edificio di bell’aspetto. Una porta aperta al secondo piano lo aspettava. Entrò, chiese permesso. Una voce dall’altra stanza esclamò: “Benvenuto! Si sieda pure dove vuole”. In effetti davanti a lui si presentò già una tavola apparecchiata, dell’autrice di quella esclamazione nessuna traccia visiva.

Fin quando all’improvviso…

“Eccomi qui, benvenuto a casa”

La casa. Concetto che Marco aveva ormai perduto. Di fronte a lui, peraltro, si materializzò una figura assai simile a qualcosa che Marco ricordava. Quegli occhi amorevoli, sprizzavano un’intensità pari a qualcosa che Marco non ebbe il coraggio di confidare alla signora, non lì, non in quel momento.

Mangiò, dialogando del più e del meno con quella cuoca d’altri tempi. All’una Marco si alzò, salutò la signora e scese le scale. In cuor suo il rimorso di non aver detto quella cosa, quel ricordo straordinario. Prese coraggio, appuntò una frase su un foglio di carta, risalì, e inserì il messaggio sotto la porta.

“E’ stato come quando mangiavo con mia mamma. Grazie di tutto”

Soddisfatto e con gli occhi lucidi, Marco aveva finalmente il cuore in pace, chiuse il cappotto e se ne andò.

 

la casa di marco cta